Il mio lavoro mi porta solitamente in contatto con moltissime persone. È l’aspetto più bello della mia professione!

Lo scorso ottobre ho svolto una sessione di training per un team commerciale di un’azienda che opera in tutte le regioni del nord. 

Non vi svelerò altro per evidenti motivi di privacy.

Dunque, un partecipante al training il giorno prima dell’inizio del corso mi confermo attraverso una mail che aveva deciso di non partecipare.

Sinceramente la comunicazione mi colse un po’ alla sprovvista, non vi nego che la prima cosa che feci è di mettermi in discussione e pensando a tutti i possibili errori commessi fino a quel momento, specialmente sulla relazione di stima reciproca instaurata con i partecipanti.

Decisi comunque di contattare telefonicamente il partecipante, perché riflettendoci bene non riuscivo a trovare una motivazione valida.

La telefonata durò più di un’ora e la persona mi confesso che dopo l’ultimo incontro formativo di gruppo aveva avuto un attacco di panico. 

Gli dissi sinceramente che per me era una reazione inspiegabile e in confidenza gli consigliai di rivolgersi ad un professionista. Il rapporto che avevo e che ho con la persona, però gli permise di sfogarsi. In passato c’era qualcosa che l’aveva profondamente segnata, durante un’occasione in cui era stata obbligata a parlare in pubblico si era trovata molto impacciata, facendogli vivere quell’esperienza come qualcosa di negativo.

Accettando il consiglio di frequentare un professionista, mi ha poi confidato di avev compreso che conseguentemente a quell’esperienza, aveva sviluppato la convinzione di fondo di non poter assolutamente sbagliare per non fare brutta figura e che il suo impegno non sarebbe servito a nulla, tanto non sarebbe stata in grado. Questa convinzione limitante si acuiva fino a bloccarla in un attacco di panico, quando si trovava in gruppo con altre persone, specialmente sul posto di lavoro.

La storia che vi ho raccontato è stata sintetizzata in moltissimi aspetti e ho intenzionalmente omesso alcune informazioni per proteggere la persona.

Che cosa possiamo trarre da questa storia?

Non è solo il nostro comportamento a influenzare la situazione in cui ci troviamo. I nostri giudizi ci portano ad attribuire a determinate conseguenze più peso che ad altre.

A quanto pare non sono solo le circostanze esteriori a determinare il nostro comportamento, ma soprattutto quello che avviene nella nostra testa.

I nostri giudizi sono strettamente legati alle nostre credenze di base, alle nostre convinzioni e all’immagine che abbiamo di noi stessi.

Cosa fai di solito per evitare conseguenze negative?

Si tratta di conseguenze davvero reali?